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Clair Obscur: Expedition 33 – Recensione completa del GDR rivelazione tra arte, emozioni e combattimenti a turni

Un viaggio verso l’oblio (che non dimenticherai mai)

Ci sono giochi che si vivono con le mani. Altri con la mente. Clair Obscur: Expedition 33 si gioca con l’anima.

Quando ho avviato per la prima volta il titolo di Sandfall Interactive, non mi aspettavo molto più di un esperimento interessante, un GDR “alla francese” con una forte componente estetica. Invece, mi sono trovato davanti a un’opera che non solo ha superato ogni mia aspettativa, ma che ha saputo toccare quelle corde interiori che solo pochissimi giochi sono riusciti a sfiorare negli ultimi vent’anni. Uno su tutti: Final Fantasy X.

Non è una questione di ambientazioni (completamente diverse), né di stile artistico o colonna sonora. È la profondità emotiva, la capacità di raccontare il dolore e la bellezza del tempo che passa, il coraggio della speranza in un mondo che si sgretola. Expedition 33 non è solo un viaggio contro il destino: è un’elegia videoludica, una lettera aperta alla memoria e alla perdita.

Con questa recensione voglio accompagnarti dentro i suoi strati più profondi: estetici, ludici e narrativi. Ma anche e soprattutto emotivi.

Un GDR che danza tra luce e ombra, nel cuore della nostra impermanenza.

Direzione Artistica e Mondo di Gioco – Belle Époque in rovina, tra sogno e condanna

Fin dai primi minuti, Clair Obscur: Expedition 33 impone la sua identità visiva con una forza rara. Non è solo “bello da vedere” – è un gioco che vive d’arte, nel senso più puro del termine. L’estetica non è decorazione, ma fondamento. Ogni edificio, costume o orizzonte non esiste solo per stupire, ma per raccontare. O per commuovere.

L’intero mondo di gioco è un’interpretazione fantastica e decadente della Belle Époque francese, ma declinata attraverso un filtro surrealista, quasi pittorico, che la rende al tempo stesso familiare e onirica. Si ha la costante impressione di camminare dentro un dipinto vivente, dove la bellezza non è mai fine a sé stessa, ma sempre carica di malinconia, memoria e perdita.

La scelta del chiaroscuro come cifra stilistica non è solo estetica ma tematica. Ombra e luce convivono in ogni scena, spesso nella stessa inquadratura. Le città monumentali si stagliano contro cieli cinerei, mentre le rovine sembrano conservare le emozioni di chi le ha abitate. I colori sono vibranti ma sfumati, come se tutto esistesse in bilico tra l’essere e lo svanire.

E poi c’è la Pittrice.

Figura misteriosa, iconica e inquietante, la Pittrice non è solo l’antagonista della storia: è la manifestazione stessa dell’universo artistico che permea il gioco. Ogni anno, questa entità dipinge un numero su un gigantesco monolite e chiunque abbia quell’età o più… scompare. Il mondo è soggetto a un “gommage”, una cancellatura che ricorda il tratto deciso di un artista che non perdona. È un’idea potentissima, che fonde concetto, ambientazione e meccanica narrativa in una forma di storytelling visivo difficilmente replicabile.

Anche gli interni e le ambientazioni più intime dalle taverne ai rifugi dei protagonisti sono realizzati con una cura artigianale che raramente si vede nei GDR occidentali. Gli elementi decorativi raccontano storie, i dipinti alle pareti sono coerenti con la lore, gli oggetti riflettono la cultura di un mondo che ha imparato a temere ogni nuovo giorno. Ogni ambiente ha un peso, un’identità, una cicatrice.

Ci si muove in un mondo sospeso tra il ricordo e la fine. E Sandfall riesce a farlo senza mai perdere coerenza, senza cadere nel manierismo o nell’eccesso. Il risultato è uno dei mondi più affascinanti, coerenti e memorabili mai realizzati in un GDR moderno.

“Se la memoria è un dipinto, allora ogni emozione è un colore destinato a svanire.”

Narrazione e Temi – Una fiaba tragica scolpita nel tempo

La narrazione di Expedition 33 non punta sul colpo di scena a effetto. Al contrario, costruisce la sua potenza narrativa su un senso costante di ineluttabilità. Lo spettro della Pittrice incombe su tutto, e il “Gommage”, questo cancellare letterale degli esseri umani, in base a un’età dipinta, non è solo un espediente fantastico: è una riflessione profonda sul tempo, sulla mortalità, sulla giovinezza come condanna e sulla paura di invecchiare.

Ogni anno, qualcuno scompare. Ma non in modo spettacolare. Svanisce. Il gioco non ti sbatte in faccia la tragedia – te la sussurra lentamente, lasciandoti intuire cosa significhi vivere in un mondo dove nessuno supera i trentatré anni. Dove ogni amore è breve, ogni relazione segnata da una scadenza. Dove ogni scelta deve essere affrettata.

La narrazione si sviluppa lungo la missione della 33ª spedizione, un gruppo di individui determinati a raggiungere la Pittrice per spezzare il ciclo. È un viaggio epico, certo, ma anche profondamente intimo. Le grandi battaglie sono sempre contro qualcosa di più profondo della semplice nemica fisica: contro i ricordi, il senso di colpa, le occasioni mancate.

I temi centrali ruotano intorno a:

  • L’accettazione della morte (non come fine, ma come parte dell’opera);
  • Il significato della memoria, in un mondo dove dimenticare è una forma di sopravvivenza;
  • Il sacrificio generazionale: chi resta, chi parte, e chi si offre per proteggere gli altri;
  • L’arte come distruzione e creazione insieme.

C’è un’eleganza rara nella scrittura di questo gioco. Una delicatezza nel modo in cui mostra i sentimenti, senza mai diventare melodrammatico. Ti porta a riflettere, ti invita a guardarti dentro. Come Final Fantasy X, anche Expedition 33parla del tempo, dell’addio, e del valore delle scelte brevi ma significative. È una tragedia bellissima, una sinfonia malinconica che non si dimentica.

Personaggi e Dialoghi – Anime ritratte con pennellate emotive

Uno dei grandi punti di forza del gioco è senza dubbio il suo cast. La 33ª spedizione è composta da pochi personaggi, ma scritti e interpretati con una sensibilità rara. Non sono semplici archetipi: ognuno ha un passato che pesa, una motivazione concreta, e una voce autentica.

Gustave – Il protagonista

Gustave è il punto di vista principale, e anche se il gioco non ci obbliga a impersonarlo sempre, la sua prospettiva rimane centrale. È un personaggio pieno di crepe. Non è l’eroe senza macchia: è un uomo spaventato, segnato dal lutto, ma ancora capace di sperare. La sua evoluzione nel corso del gioco è commovente. È l’archetipo dell’uomo che vuole “ricordare per non dimenticare chi ha perso”, e che finisce col trovare un significato più grande.

Maelle – La fiamma malinconica

Maelle è la coscienza emotiva della spedizione. Forte, dolce, profondamente ferita. I suoi dialoghi sono tra i più potenti, con frasi che ti restano dentro come versi di poesia. C’è una scena in particolare, che eviterò di spoilerare qui, in cui parla della paura di non essere ricordati… ed è uno dei momenti narrativi più intensi del gioco.

Lune e Sciel – L’innocenza e il mistero

Due figure apparentemente secondarie, ma che nel tempo emergono con forza. Lune rappresenta ciò che resta della meraviglia in un mondo che ha perso il suo splendore. Sciel, invece, incarna l’ambiguità e l’introspezione. I loro archi narrativi sono ricchi, mai forzati, e sempre coerenti con i temi generali del gioco.

I dialoghi non cercano la spettacolarità. Non ci sono discorsi pomposi o frasi da trailer. Ma ogni battuta è pesata, ogni parola è sentita. E soprattutto: tutto è umano. Anche nel fantastico, Expedition 33 riesce a farti sentire dentro storie vere, raccontate da persone vere.

La scrittura ricorda quella dei grandi romanzi francesi, ma filtrata attraverso il pathos del miglior GDR giapponese. In questo equilibrio, riesce a trovare un tono narrativo potente ma intimo, universale ma personale.

“La bellezza non basta a salvarti. Ma a volte, può essere un’arma.”

Gameplay e Sistema di Combattimento – L’arte della guerra, un turno alla volta

Uno degli aspetti più sorprendenti di Expedition 33 è la qualità e l’equilibrio del suo sistema di gioco. È facile pensare che un titolo così carico di estetica e narrazione possa sacrificare il gameplay a favore dello storytelling. Ma qui accade il contrario: meccanica e messaggio si fondono.

Il combattimento si basa su un ibrido tra turni classici e azione in tempo reale. L’ispirazione ai JRPG tradizionali è evidente. Si sceglie l’azione da un menu, si gestiscono abilità, magie e stati alterati. Ma la vera innovazione è nella fase difensiva. Quando il nemico attacca, il giocatore può intervenire attivamente: parare, schivare, reagire con tempismo. È un sistema che ricorda le battaglie di Legend of Dragoon o Paper Mario, ma portato a un livello di fluidità e tensione superiore.

Il risultato è un’esperienza coinvolgente, quasi coreografica. Non si subiscono mai passivamente i danni: ogni scontro diventa un duello di riflessi e strategia. Alcuni boss, in particolare, richiedono studio e precisione millimetrica, senza mai cadere nella frustrazione da soulslike.

La gestione del party è snella ma profonda: ogni personaggio ha ruoli ben definiti, abilità uniche e sinergie da scoprire. Il gioco ti spinge a cambiare approccio, a pensare in modo tattico, senza appesantire con menù complessi o grinding forzato.

Esplorazione e progressione sono lineari ma piene di scelte significative. Le aree non sono open world, ma disegnate come percorsi densi di atmosfera e mistero, con enigmi ambientali leggeri e sezioni di esplorazione che premiano l’attenzione.

E poi c’è il rapporto tra gameplay e narrativa. Ogni abilità, ogni scelta in battaglia ha un significato contestuale: si combatte non solo per sopravvivere, ma per ricordare, per proteggere, per lasciare un segno. Raramente mi è capitato di sentire così tanto peso emotivo in una meccanica di gioco.

Colonna Sonora – Il silenzio tra le note

Loren Testard firma una delle colonne sonore più intense e memorabili della storia recente del medium. La sua musica non è un semplice accompagnamento: è una voce narrante invisibile, un tessuto che unisce scene e stati d’animo.

Ogni tema è costruito con una raffinatezza orchestrale che riecheggia Debussy e Ravel, ma con un’impronta tutta personale. I brani usano il pianoforte come cuore pulsante, alternando momenti eterei a esplosioni sinfoniche piene di pathos.

Il tema principale della spedizione – “Jusqu’à la Fin” – è una composizione struggente, dolce e drammatica insieme. Ricorda molto To Zanarkand di Nobuo Uematsu: stesso effetto evocativo, stesso potere di evocare lacrime con una singola nota.

Anche le musiche di battaglia evitano la ripetitività. Ogni boss ha un tema unico, pensato per raccontare qualcosa sulla natura dell’avversario. Non si combatte mai nel vuoto: ogni scontro è una scena teatrale, e la musica è il sipario emotivo che si alza e si abbassa con maestria.

Il gioco sa anche quando tacere. In certi momenti, lascia il silenzio avvolgere la scena. E quei silenzi… sono assordanti. Perché parlano di perdita, di attesa, di speranza fragile. Expedition 33 riesce a rendere la colonna sonora parte della narrazione, con una coerenza che pochi giochi hanno osato tentare.

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Confronti con altri GDR – Tra il passato dei turni e il futuro dell’azione

Nel panorama attuale dei giochi di ruolo, Clair Obscur: Expedition 33 si colloca in un punto molto particolare: quello tra due ere. Da una parte, l’eredità dei classici JRPG a turni, intrisi di strategia, introspezione e narrazione stratificata. Dall’altra, l’evoluzione verso sistemi più action-oriented, spettacolari ma spesso meno riflessivi. È in questo spazio che Expedition 33 trova la sua voce. E lo fa ricordandoci cosa rende grande un GDR.

Molti giochi degli ultimi anni – anche tra i più celebrati – hanno progressivamente abbandonato il sistema a turni in favore di uno stile più frenetico. Pensiamo a Final Fantasy VII Remake e Rebirth: due titoli che hanno saputo stupire, innovare e coinvolgere con combattimenti mozzafiato, ma che hanno anche lasciato indietro parte del linguaggio classico del GDR.

Il sistema ibrido di Expedition 33, invece, riesce a mantenere la struttura mentale del turno – la pausa, la pianificazione, il respiro tattico pur integrando elementi attivi che evitano la passività. È un tributo intelligente alla tradizione, senza sembrare vecchio. Anzi, è probabilmente uno dei sistemi più freschi tra quelli visti nei GDR degli ultimi anni.

Se da un lato richiama titoli come Bravely DefaultShin Megami Tensei V o Octopath Traveler, dall’altro guarda avanti, verso una fusione più fluida tra gameplay e narrazione, simile a quanto ha fatto Persona 5 ma con una sua sensibilità più intima e malinconica.

La grande differenza, però, è nel ritmo emotivo.

Nei GDR a turni classici, il tempo si dilata. Ogni attacco, ogni scelta, ha il tempo di pesare sul giocatore. La narrazione trova il respiro per insinuarsi tra le battaglie, e le pause diventano significative. Expedition 33 abbraccia questa dimensione. Non ti chiede di correre, ma di sentire. Non ti bombarda di stimoli visivi, ma ti lascia il tempo di ascoltare il cuore dei suoi personaggi.

I giochi più action, per quanto magnifici (e Rebirth ne è un esempio potente), tendono a spingere sull’acceleratore: la spettacolarità prende il sopravvento, e il momento contemplativo si riduce. Si combatte in modo viscerale, ma si sente meno.

Clair Obscur riesce nell’impresa opposta: ti fa combattere col cervello, ma ti fa soffrire con il cuore.

Ecco perché, nel mare di GDR moderni, questo titolo risalta come una lanterna nella nebbia: non perché urla più forte, ma perché sa sussurrare con più intensità. In un’epoca in cui il genere si reinventa di continuo, questo gioco è la prova che i turni non sono morti. Hanno solo bisogno di nuova vita. E qui, quella vita pulsa forte.

“Ci sono viaggi da cui non torni. Non perché sei morto. Ma perché sei cambiato.”

Riflessione personale – Il peso delle emozioni, il dono del ricordo

Ci sono giochi che si finiscono. E poi ci sono giochi che ti finiscono.

Expedition 33 è uno di quei rari titoli che non mi ha solo intrattenuto: mi ha attraversato. Come un dipinto che non guardi soltanto, ma che ti guarda a sua volta. Come un brano musicale che non ascolti con le orecchie, ma con lo stomaco.

Giocando, ho provato una gamma di emozioni che va ben oltre il semplice piacere ludico: malinconia, empatia, nostalgia, dolore. Eppure, c’era sempre anche una luce, fievole ma presente, che mi guidava scena dopo scena. Una speranza. Forse è questo che mi ha ricordato Final Fantasy X: quella strana sensazione di bellezza dolente, di sapere che tutto finirà… e proprio per questo, viverlo con più intensità.

Ogni conversazione con Maelle. Ogni silenzio tra le note del pianoforte. Ogni scontro con un nemico che sembrava più un’ombra del passato che un avversario. Tutto mi ha colpito, tutto mi ha lasciato un segno.

Mi sono ritrovato a pensare ai miei trentatré anni. Alla paura di svanire. Alla voglia di essere ricordato. E non parlo più del gioco, parlo di me. Ed è qui che Clair Obscur fa la sua magia: ti costringe a guardarti dentro, a confrontarti con le tue memorie, con le persone che hai perso, con ciò che hai lasciato in sospeso.

Non capita spesso.

E se lo fa, un videogioco, allora ha superato i confini del suo medium. È diventato arte viva.

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Sezione Spoiler – Il cuore nudo del gioco

(ATTENZIONE: da qui in avanti si parlerà liberamente di trama, eventi e finale. Se non hai ancora giocato Expedition 33, ti consiglio di saltare questa sezione.)


Il momento in cui la spedizione raggiunge la Pittrice è uno di quei climax che non si dimenticano. Ma non per la spettacolarità, anche se visivamente è potente, bensì per la verità che svela: la Pittrice non è un’entità malvagia, non è un dio crudele, non è neanche un essere del tutto cosciente.

È un riflesso del mondo stesso, della memoria collettiva, della paura della vecchiaia, del rifiuto della degenerazione. Una forza che è stata alimentata da generazioni di persone che hanno desiderato cancellare il dolore… e hanno finito per cancellare tutto.

E quando Maelle si offre come nuova Pittrice, accettando di assumersi il fardello della memoria per salvarne il contenuto e non il vuoto, il gioco raggiunge il suo apice emotivo.

È un gesto che ricorda Yuna davanti a Yunalesca, ma anche Zero in Drakengard 32B nel suo sacrificioAerith nel suo addio. Un gesto che non cerca il trionfo, ma la salvezza altrui. Un gesto poetico, tragico, inevitabile.

Il finale – in cui Gustave resta solo, guardando un mondo che lentamente ricomincia a ricordare – è uno dei più silenziosi e devastanti mai visti. Non c’è fanfara, non c’è medaglia. Solo una scelta: non dimenticare.

E quella scelta… è nostra.

“Ciò che viene cancellato, vive finché qualcuno lo ricorda.”

Conclusione – Il dipinto che resta anche a occhi chiusi

Clair Obscur: Expedition 33 non è solo un gioco. È un’opera. È un canto malinconico sul tempo che passa, una riflessione sul significato del sacrificio, un’invocazione artistica alla memoria. In un panorama videoludico che spesso corre troppo veloce verso l’azione, l’intrattenimento e il consumo istantaneo, questo titolo osa rallentare, farci pensare, farci sentire.

Il suo sistema di combattimento rappresenta una delle sintesi più riuscite tra il classico e il moderno: onora la tradizione dei turni senza cadere nel già visto. La sua narrazione è coraggiosa, umana, profonda. La sua estetica è visionaria, ma non sterile: ogni immagine è un frammento di significato, non un esercizio di stile.

Ma soprattutto, Expedition 33 è uno di quei giochi che restano.

Ti lascia con domande, con ricordi, con una malinconia dolce che non ferisce, ma accompagna. Non è perfetto, forse qualche ritmo nella parte centrale andava limato, forse certe meccaniche secondarie potevano essere più approfondite, ma quando un gioco riesce a toccarti così nel profondo, la perfezione diventa irrilevante.

In un mondo che dimentica in fretta, Expedition 33 è una preghiera per non essere dimenticati.

E io, personalmente, non lo dimenticherò mai.

8.9 TOTAL SCORE
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Narrazione 10
Direzione Artistica 10
Colonna Sonora 10
Gameplay / Combattimento 9
Design dei Personaggi 9
Esplorazione / Level Design 7
Contenuti Secondari 7
Tecnica / Prestazioni 8
Innovazione 9
Coinvolgimento Emotivo 10
PRO
  • Narrazione profonda e matura
  • Sistema di combattimento ibrido innovativo
  • irezione artistica e colonna sonora straordinarie
CONTRO
  • Ritmo narrativo altalenante a metà gioco
  • Esplorazione guidata e poco aperta
  • Pochi contenuti secondari realmente impattanti
Bottomline

Clair Obscur: Expedition 33 è una gemma rara nel panorama dei GDR moderni. Unisce la profondità emotiva e narrativa dei grandi classici a turni con una veste artistica audace e un sistema di combattimento che fonde tradizione e innovazione. La storia è struggente, i personaggi umani e memorabili, la colonna sonora da brividi. Pur con una struttura lineare e qualche contenuto secondario sottotono, è un’esperienza che lascia il segno, destinata a diventare un punto di riferimento per chi cerca un GDR che non si limita a intrattenere, ma che fa sentire.

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